"Illuminato dagli innumerevoli splendori delle realtà create" (San Bonaventura da Bagnoregio)
la meditazione come via
tra tantrismo, vipassana e zen




 

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"Illuminato dagli innumerevoli splendori delle realtà create" (San Bonaventura da Bagnoregio)


 

Essere nelle cose è la grande via realizzativa.

Vedere, sentire, ... sono la possibilità di riconoscere la pace che c'è tra me e il mondo. Una pace che è aggredita dal mio ordinario pormi in condizione di distanza, opposizione, alterità rispetto a ciò che io non sono. San Bonaventura da Bagnoregio scrive: “Cieco è, pertanto, chi non viene illuminato dagli innumerevoli splendori delle realtà create; sordo chi non viene destato da voci tanto numerose [...] Apri, dunque, i tuoi occhi, tendi le orecchie del tuo spirito [...] e disponi il tuo cuore in modo da poter vedere, sentire [...] affinché l'universo intero non insorga contro di te”.

È da notare quanto il testo stesso di San Bonaventura evidenzi quella dimensione di passività che è propria di un verso ascolto delle cose, nel quale io sono semplice cassa di risonanza che si espone, nuda, al sentire della realtà.

Tra l'altro nella tradizione yogica classica vi sono due termini che sono asteya e aparigraha che vengono volti come indicazioni morali di non rubare e mantenere la povertà. Ma altre volte asteya è tradotto con “non appropriarsi” e aparigraha con “non alimentare possessività”. Ora: cosa sono appropriarsi e possessività nel mio essere nelle cose? Il muovermi con i miei sensi verso di esse, invece che riceverle. Ecco: la grande via realizzativa è ricevere passivamente il mondo. E lasciare che il mio fare (non più mio) emerga naturalmente da questo ricevere.

Allora quella pace tra me e il mondo, quella pace che mi permette di ascoltarlo, si manifesta come la sostanza stessa delle cose del mondo. Ogni ente del mondo (un bicchiere, un suono, una stella, un'emozione, ...)  si rivela essere concretizzazione di un silenzio originario.