Nella lezione del lunedì abbiamo letto i seguenti brani tratti da Yoga
tantrico di Eric Baret:
"Prima, rendersi conto che si vive nell'intenzione, nella
memoria. Prendere coscienza di questa tendenza, senza la minima intenzione di
cambiarla. [...] Non c'è niente da sapere, niente da provare: bisogna giusto
prender nota, realizzare quanto ci ascoltiamo e sentiamo poco. Camminare per
strada. Nessuno guarda, sente, ascolta. Osservare i visi. Quanti sono quelli che
si stanno ripetendo il loro ultimo momento di felicità o di malessere, senza
essere presenti a quello che li circonda? La maggior parte degli umani passa la
vita così, tra memoria e attesa.
Il primo passo [...] consiste nel realizzare la nostra totale incapacità a
lasciar vivere in sé la percezione presente. Dal momento in cui appare una
percezione, è immediatamente pensata: l'amiamo o la rifiutiamo... Realizzare
come è difficile lasciare che un suono, un odore, un contatto risuoni nella
nostra sensorialità. [...] Essere capaci di gustare qualcosa senza sapere, senza
pensare, è un'arte. [...]
Dunque il primo passo [...] è questa esperienza profonda: «Io non ascolto».
Quando sentite profondamente, di momento in momento: «Io non sento», il sentire
comincia a risvegliarsi. [...]
Questo presentimento, questa apertura di fronte alla vita vi rende disponibili.
[...]
Quest'arte non esiste per cercare di arrivare a qualcosa: sarebbe una
fantasticheria sul futuro. Rendetevi conto nell'istante che non c'è niente da
aspettarsi. [...]
Cercare di diventare felici è una mancanza di maturità, di rispetto verso la
gioia. Chiedere è un insulto. Potete giusto essere aperti a quel che vi viene
dato.
Non si può chiedere la grazia. Quando non chiedete più, c'è umiltà. Questa
umiltà è l'inizio della grazia. [...] Lo scopo di arrivare a qualcosa vi lascerà
insoddisfatti. Niente vi impedisce di vivere in modo più intelligente, disteso o
tranquillo; non cercatevi un mezzo per trovare l'essenziale. [...]
La sensazione deve spegnersi nella sensibilità, altrimenti resta come memoria,
come ingombro. In una vera accoglienza, pensiero e sensazione non lasciano
traccia, apertura senza passato né futuro, eterno presente. Ogni pensiero, ogni
percezione, deve aprirsi, espandersi per morire. Ogni esperienza vive il proprio
dissolvimento. L'apertura a questa presenza inabissante è meditazione. [...]
Per molto tempo ci si sente più comodi se il corpo è comodo, silenziosi quando
anche i vicini sono silenziosi ecc. Se si lavora in un'ottica chiara, prima o
poi ci sarà trasposizione: il dolore del corpo, l'agitazione, la malattia o i
rumori del vicino sono altrettanto comodi. Si dispiegano anch'essi nella
disponibilità. Finché si sente diversamente, accettarlo. [...]
Bisogna saper lasciar morire l'avvenimento nel silenzio.
Questa estrema povertà in cui non si trattiene niente, in cui non si è niente, è
ricchezza suprema" (pp. 253-257).