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"Se tu mi percepisci, te stesso percepisci" (Muhammad Ibn al-'Arabi)
Un corpo in ascolto che percepisce è nell'esperienza del sacro, sacro che affiora allora nel mio sentire le cose ordinarie. È la religiosità del quotidiano: le cose sono la lingua con la quale il sacro parla. Ma perché questo corpo sia un corpo in ascolto è necessario che abbandoni la sua tendenza appropriativa nel suo percepire: questo percepire non è il percepire che si presenta come mio, non è il prodotto del mio fare, della mia volontà di autodeterminazione. Perché io possa ascoltare la lingua del sacro, questa tendenza deve cessare di parlare. È un lasciare che emerga questo sentire il quale inonda vastamente il mio io che era a comando della percezione. Allora non vi è più “io percepisco”, ma “la percezione si manifesta”. Qui Muhammad Ibn al-'Arabi, nel suo linguaggio monoteista, islamico, sufi tocca questa verità:
Ascolta, Amato mio!
Se tu mi percepisci, te stesso percepisci.
Amato!
Perditi in me, in me soltanto.
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