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Nel primo esercizio del Sutra Anapanasati riconosciamo una cosa semplice e miracolosa: "Inspirando, so che sto inspirando. Espirando, so che sto espirando". Riportate la vostra mente al corpo e al respiro, e all'improvviso vi rendete conto: "Oh, sto inspirando, sto espirando". Riconoscete semplicemente il vostro respiro. Dire "so che sto…" significa che state portando tutta la vostra attenzione, tutta la vostra mente, sull'inspirazione e sull'espirazione. Poiché l'attenzione della vostra mente è tutta concentrata sul respiro, ecco che senza sforzo potete lasciare andare le preoccupazioni, la rabbia, l'avidità, la paura, la gelosia. La presenza mentale è come una guardia che controlla i cancelli di una fortezza e che, quando vede una persona che entra o esce dalla fortezza, sa se si tratta di una persona del posto o di uno straniero. La presenza mentale è la guardia che sa che state inspirando e sa che state espirando. La vostra mente sa riconoscere se una certa energia è salutare o nociva. Andando avanti, sviluppando sempre di più la pratica, saprete riconoscere "questa è gelosia, quella è compassione", ma all'inizio esercitate semplicemente la mente a riconoscere il respiro. Alcuni mettono una mano sull'addome e vi portano tutta l'attenzione: "Il mio addome si solleva (inspirando), il mio addome si abbassa (espirando)". Concentrando la vostra attenzione sul sollevarsi e l'abbassarsi dell'addome, tutti gli altri pensieri si arrestano. Quando ricevete delle notizie che vi agitano, e non riuscite a dormire, portate tutta la vostra attenzione al movimento dell'addome: consentirete così al cervello di riposare, all'agitazione e all'irritazione di calmarsi. Continuando questo esercizio anche per soli 5, 10 o 15 minuti riuscirete a conciliare un sonno profondo. Il secondo esercizio consiste nell'osservare e prendere atto della lunghezza del respiro: "Inspirando un lungo respiro, so che sto inspirando un lungo respiro. Espirando un lungo respiro, so che sto espirando un lungo respiro". Oppure: Ci sono dei
praticanti che cercano di forzare e modificare il proprio respiro. Il Buddha ha
detto che questo non è il modo corretto. Non pensate che un respiro lungo sia
meglio di un respiro breve, o viceversa. Prendete soltanto atto della lunghezza
del vostro respiro per quella che è naturalmente. A volte il fatto che il
respiro sia corto è un bene, come quando, dopo aver fatto un grosso sforzo,
abbiamo bisogno di fare dei respiri più brevi. Altre volte, Il terzo esercizio consiste nell'essere consapevoli del corpo: "Inspiro e sono consapevole di tutto il mio corpo, espiro e sono consapevole di tutto il mio corpo". Inspirando sono
consapevole dell'aria che entra e riempie i miei polmoni. Posso sentire
l'espansione e la contrazione del diaframma, sento che il respiro tocca ogni
parte del corpo. Il respiro è connesso ai movimenti del corpo, ma nel Buddhismo
esso è inteso anche come parte della mente. Quando camminate siete consapevoli
di ogni vostro passo e quando alzate una mano portate l'attenzione al sollevarsi
della mano. Se alzando la mano Il quarto esercizio consiste nel calmare il corpo: "Inspiro e calmo e rassereno l'intero corpo. Espiro e calmo e rassereno l'intero corpo". Il corpo può essere agitato, il fegato o il cuore possono non essere in buone condizioni. Nel quarto esercizio seguiamo il respiro e calmiamo il corpo: calmiamo il fegato, il cuore, le palpebre, gli occhi, l'intestino, ogni parte del corpo. Se praticando non cercate di calmare il corpo, come potete calmare la mente? Per prima cosa, quindi, entrate in contatto con il corpo e calmatene ogni parte. In seguito calmerete ogni parte della mente. A volte abbiamo così tante preoccupazioni, ansie, paure, che il nostro corpo diventa teso, si irrigidisce ed è causa di molti disturbi. Non si tratta di malanni gravi, ma di piccoli problemi legati alla non buona condizione della mente che nuoce al nostro organismo. Dobbiamo, quindi, per prima cosa ritornare al corpo: "Sei lì mio piccolo cuore, so che lavori duro e io non ti presto attenzione. Fumo, bevo troppo, e così ti faccio soffrire". Sorridiamo al cuore o al fegato, sappiamo che sono in difficoltà e che stanno lanciando un segnale d'aiuto. Non pratichiamo il calmare solo a parole: abbiamo bisogno di sentire che ogni parte del nostro corpo è davvero in pace. Arriviamo ora ai quattro esercizi che hanno a che vedere con le sensazioni: il quinto è sulla gioia, il sesto sulla felicità, il settimo è sulle attività della mente, mentre nell'ottavo calmiamo le attività della mente e le sensazioni. Iniziamo dal quinto: "Inspiro e provo gioia. Espiro e provo gioia". Potete praticare
questo esercizio scrivendo una lista di tutte le cose che vi danno gioia. Ma,
anche qui, non dite "inspiro e provo gioia" solo a parole. Dovete
sentire davvero in voi questa gioia. Inspirando non ho il cancro, non ho
avversione, sono ancora molto giovane, in buona salute, sono così fortunata da
essere in contatto con la pratica. Fate una lista scritta di tutte le cose
positive in voi e attorno a voi, in modo da poter essere davvero Il sesto esercizio consiste proprio nel godere concretamente delle cose meravigliose che abbiamo: "Inspiro e mi sento felice. Espiro e mi sento felice". Inspirando entro
in contatto con le condizioni di gioia, provo gioia. Espirando abbraccio la
gioia, la assaporo, e la gioia diventa felicità. La gioia deve condurre alla
felicità. La funzione della gioia e della felicità è quella di nutrirci, non
di essere ragioni di sofferenza. Sono queste la gioia e la felicità sane, non
la gioia e la felicità dei desideri dei sensi, come la gioia del potere, del
sesso, della buona tavola. Eppure ci sono persone che passano la giornata
pensando solo cose negative su se stessi e sugli altri. E più pensano in questo
modo più si arrabbiano, si sentono frustrate. Per questo il Buddha ha
insegnato: "Nutri te stesso con la vera gioia e la vera felicità". La
pratica del quinto e del sesto esercizio va fatta senza fretta. Vivete
concretamente la gioia e la felicità che sono attorno a voi e in voi. Siate in
contatto con i vostri meravigliosi occhi, che possono vedere il blu del cielo,
il verde della vegetazione. Potete ascoltare il canto della pioggia e degli
uccelli, potete godere di molte cose! Per costruire la vostra felicità usate
l'intelligenza. È vero, c'è sofferenza, ma entrate per prima cosa in contatto
con le meraviglie della vita e nutritevene. Poi potrete guardare con più
serenità ciò che non va bene e prendervene cura per trasformarlo. La
meditazione è cibo, la felicità è cibo. Se la meditazione seduta non dona
pace e gioia, ciò significa che nella pratica c'è qualcosa che non va. Ci sono
probabilmente degli ostacoli, prodotti dalla nostra mente, che impediscono di
essere in contatto con le condizioni per la felicità. Queste ultime sono
numerose, ma non riusciamo ad apprezzarle. Quando succede questo dovremmo
incontrare il nostro insegnante o i nostri amici Nel settimo esercizio siamo consapevoli di tutte le sensazioni: "Inspiro e sono consapevole delle sensazioni che sono in me. Espiro e sono consapevole delle sensazioni che sono in me". Nel settimo
esercizio pratichiamo la consapevolezza delle sensazioni, usando la presenza
mentale per essere in contatto con ciò che sta accadendo. Se proviamo una
sensazione gioiosa, siamo profondamente consapevoli di questa sensazione e così
continuiamo a nutrirla. Ad esempio, se state mangiando un'arancia, siete davvero
consapevoli del suo dolce sapore. Se, però, mangiando quell'arancia siete
gelosi o arrabbiati con qualcuno, il L'ottavo esercizio consiste nel calmare tutte queste sensazioni: "Inspiro e calmo e rassereno le attività della mente in me. Espiro e calmo e rassereno le attività della mente in me". È necessario mantenere calma qualsiasi sensazione, anche una sensazione di gioia. Perché nella gioia c'è eccitazione e quell'eccitazione deve essere calmata. Persino la felicità va calmata. Se poi in noi c'è una sensazione dolorosa, che deriva dalle nostre preoccupazioni, da rabbia, gelosia, disperazione, è davvero necessario riconoscere e abbracciare quella sensazione. Questo esercizio consiste proprio nel calmare le sensazioni, nello stesso modo in cui si calma un bambino che ha il mal di pancia: ci rendiamo conto che ha male alla pancia, lo teniamo in braccio e lo calmiamo. Come praticanti dovete sapere come fare, non dovete lasciar passare del tempo, permettendo alle sensazioni di distruggere il vostro corpo e la vostra mente. Quando in voi c'è una sensazione, specialmente una sensazione dolorosa, dovete sapere come usare l'energia della presenza mentale per abbracciare quella sensazione, come una madre che abbraccia il suo bambino. Dicendo: "Sono qui, sono qui. La tua mamma è qui, la mamma è qui. Quindi non aver paura. Mi occuperò di te, abbraccerò la tua sofferenza". Non scappate da quella sensazione! E quando riuscite ad abbracciarla, usate il metodo dell'inspirazione e dell'espirazione per calmarla. Abbiamo visto che
i primi quattro esercizi hanno come oggetto il corpo, mentre i successivi
quattro sono centrati sulle sensazioni. Le sensazioni possono sorgere dal corpo
o dalle percezioni. A volte abbiamo mal di testa o mal di stomaco, fenomeni che
appartengono al corpo e che ci causano una sensazione dolorosa. Al contrario, se
abbiamo dei vestiti caldi con cui coprirci e cibo a sufficienza sorge in noi una
sensazione piacevole proveniente dal corpo. Prendersi cura del corpo significa,
quindi, procurarci delle sensazioni piacevoli. E lo stesso vale per le
percezioni. Se ci prendiamo cura delle percezioni, ridurremo le sensazioni
dolorose, anche fisiche, che provengono da esse. Le nostre percezioni erronee
sono, infatti, la radice di innumerevoli sensazioni di carattere Nel nono esercizio siamo consapevoli delle formazioni mentali: "Inspiro e sono consapevole delle formazioni mentali. Espiro e sono consapevole delle formazioni mentali". Come abbiamo
detto, questo esercizio è diverso dal settimo, che prendeva in considerazione
soltanto le sensazioni, mentre qui entrano in gioco tutte le formazioni mentali.
Inspirando, sono consapevole, riconosco la formazione mentale che è presente in
me in questo momento, che si tratti di rabbia, tristezza, gelosia o avversione.
La riconosco e la chiamo per nome: orgoglio, sospetto, visione erronea, avidità.
Questo è davvero Nel decimo esercizio rassereniamo la mente: "Inspiro e calmo e rassereno la mente. Espiro e calmo e rassereno la mente". Come è possibile
rendere più gioiosa una formazione mentale già presente in noi? Come possiamo
fare sorgere delle formazioni mentali positive, benefiche? Immaginiamo di
disegnare un cerchio e di dividerlo in due. La parte inferiore rappresenta la
coscienza deposito, mentre nella parte superiore individuiamo la coscienza
mentale. Sappiamo che la coscienza deposito custodisce tutti i semi. Quando
questi semi si manifestano diventano Nell'undicesimo esercizio concentriamo la mente: "Inspiro e concentro la mente. Espiro e concentro la mente". Concentrare la
mente significa che quando si manifesta in noi una formazione mentale usiamo la
consapevolezza per abbracciarla. Quando c'è presenza mentale, c'è anche
concentrazione. Se abbracciamo più a lungo una formazione mentale, positiva o
negativa, riusciamo senza sforzo a guardare in profondità nella sua natura,
generando in noi saggezza, comprensione risvegliata. Non dobbiamo fuggire
davanti a una formazione mentale, bensì trattarla con la stessa cura di un
ricercatore che è consapevole dell'oggetto della sua ricerca, o come uno
studente di matematica che fa sì che la concentrazione abbracci gli esercizi a
cui si sta dedicando. Se cerchiamo di fare degli esercizi di matematica mentre
guardiamo la televisione non avremo sufficiente consapevolezza e "Inspiro e libero la mente. Espiro e libero la mente". Cosa vuol dire
liberare la mente? "Inspirando mi libero, lascio andare la formazione
mentale che è in me, espirando lascio andare la mia formazione mentale".
Le formazioni mentali, come l'avidità, l'avversione, il sospetto, l'orgoglio,
sono corde che ci legano, corpo e mente, e ci rendono la vita infelice. Quando
riusciamo a guardare in profondità in queste formazioni mentali, ad
abbracciarle e a lasciarle andare, allora scopriamo la Il tredicesimo esercizio consiste nella consapevolezza dell'impermanenza: "Inspiro e contemplo la natura impermanente di tutti i dharma. Espiro e contemplo la natura impermanente di tutti i dharma". Abbiamo in noi
molti ostacoli dovuti all'ignoranza. Ci comportiamo come se dovessimo vivere un
milione di anni, come se fossimo eterni, indistruttibili. Abbiamo sentito le
parole del Buddha, abbiamo ascoltato il nostro insegnante: entrambi ci hanno
parlato dell'impermanenza. Sappiamo bene che potremo vivere al massimo cento
anni. Pensiamo: quella persona ha avuto un incidente di macchina, quell'altra è
in ospedale, quell'altra ancora ha il cancro, quella è morta. Ma crediamo che
tutto questo non ci riguardi, viviamo questa specie di follia. La nostra
comprensione dell'impermanenza è molto superficiale: la vediamo solo come
un'idea, una teoria, e agiamo nella vita quotidiana come se dovessimo esserci
per sempre. Ma non è vero, non è così. La nostra vita è come un lampo, come
una nuvola nel cielo. Dovremmo concentrarci e guardare in profondità nell'impermanenza:
vedere ogni passo, ogni respiro, ogni boccone di cibo alla luce dell'impermanenza.
Non si tratta di qualcosa di negativo, di pessimistico. È la verità e va
compresa bene, perché l'impermanenza è essenziale per la vita. Se piantiamo
dei girasoli e vogliamo che crescano, l'impermanenza è indispensabile. Se il
seme di girasole dovesse rimanere per Eccoci ora al quattordicesimo esercizio: "Inspiro e comprendo che i dharma non sono degni di essere desiderati. Espiro e comprendo che i dharma non sono degni di essere desiderati.". Inspirando
osservo in profondità la natura dei dharma e comprendo quanto non siano
"degni di essere desiderati". Il termine sanscrito è viraga, ovvero
"non provare attaccamento e desiderio per qualcosa". Dovremmo sapere
che i dharma, i fenomeni oggetto delle nostre percezioni, sono impermanenti.
Funzionano come esche, ma non sono degni del nostro desiderio, anche se per
ignoranza possiamo ritenere che non sia così. Proseguiamo ora con il quindicesimo esercizio: "Inspiro e contemplo la natura di non nascita e non morte di tutti i dharma. Espiro e contemplo la natura di non nascita e non morte di tutti i dharma". Il termine nirodha significa "non nascita e non morte", ma anche nirvana. Iniziamo a entrare in profondità nell'oggetto della nostra meditazione: dopo aver compreso l'impermanenza e la natura non degna di desiderio dei dharma, giungiamo al nirodha, che è la cessazione, l'estinzione di nascita e morte. Inizialmente osserviamo che le cose nascono e muoiono, hanno un inizio e una fine, un essere e un non essere. Il più grande dovere di un praticante è proprio andare oltre il mondo di nascita e morte ed essere parte del mondo di non nascita e non morte. Perché nascita e morte sono soltanto idee. Il Sutra del Cuore ci insegna che non c'è né nascita né morte, nulla di puro e di impuro. È uno dei discorsi del Buddha che ci mette in contatto con la dimensione ultima, dove non ci sono l'uno o i molti. Aprire la porta di né nascita né morte, non andare né venire, è come aprire la porta della dimensione ultima ed essere incrollabili e liberi. Nonostante il quindicesimo esercizio sia d'aiuto per entrare in contatto con la dimensione ultima, ci sono persone che non apprezzano il mio insegnamento, dicendo che spiego soltanto come inspirare ed espirare. In realtà inspirare ed espirare seguendo il Sutra sulla Piena Consapevolezza del Respiro ci può portare molto lontano. Passiamo infine al sedicesimo e ultimo esercizio: "Inspiro e medito sul lasciar andare. Espiro e medito sul lasciar andare". Se non riuscite a lasciare andare, non potete essere liberi. Abbandonate le vostre idee sulla nascita e sulla morte, sull'esistere e sul non esistere. Per essere felici occorre lasciare andare ogni convinzione che procura sofferenza. Molti di noi credono fermamente che "questo corpo è me", ma se lasciano andare questa convinzione possono smettere all'istante di aver paura. Ancora, abbiamo l'idea che la durata della nostra vita sia di settant'anni, ma se riusciamo ad abbandonarla diventeremo immortali. Pensiamo di avere un sé separato, crediamo che la nostra felicità non sia la felicità degli altri e che quella degli altri non sia la nostra. Questo ci impedisce di essere felici. Dobbiamo lasciare andare le idee di un sé, di un essere umano, di un essere vivente e della durata di una vita, come insegna il Buddha nel sutra Vajracchedika, il sutra del diamante che recide le illusioni. Abbandonando queste idee potremo lasciare andare qualsiasi attaccamento e saremo felici. Guardate bene nella vostra mente per capire se c'è in voi una certa idea di successo, se volete essere in un modo o in un altro, se pensate che starete bene solo quando riuscirete a sposare quella persona oppure a divorziare, se volete essere il numero uno. Si può perfino morire per idee di questo tipo! Prendete allora quell'idea di felicità, abbracciatela e osservatela in profondità. Sarete felici solo quando saprete come lasciarla andare. In conclusione, il sedicesimo esercizio è molto efficace e riguarda la pratica del lasciare andare le idee del sé e della durata della vita, condizione essenziale per essere davvero felici e stabili. La parte del sutra in cui sono illustrati i sedici esercizi si conclude così: "La piena consapevolezza del respiro, se sviluppata e praticata con continuità secondo questi insegnamenti, darà frutti e sarà di grande beneficio". In effetti, il giorno in cui ho scoperto la profondità di questo discorso del Buddha è stato un giorno davvero felice. In precedenza avevo cercato di impararlo e mi ero accontentato di una conoscenza teorica, senza però sapere come godere del momento presente. Comprendere il Sutra Anapanasati, quindi, è stato per me come trovare un immenso tesoro. Sono sicuro che anche per voi sarà fonte di nuove comprensioni ogni volta che lo studierete e lo metterete in pratica.
Da: www.esserepace.org/testi/t_anapana.html
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