Giovanni Allevi è un pianista jazz. Laureato anche in filosofia con una tesi
sul vuoto nella fisica contemporanea. Quindi non tanto lontano da certi temi
orientalistici.
L'acqua, calma e limpida, riesce nella sua quiete a raggiungere i più remoti e
bui interstizi. Con indifferenza sovrumana conquista qualunque spazio,
totalmente, senza alcun gesto violento, senza intenzione, così, semplicemente;
tutto può sommergere e coinvolgere nel suo naturale silenzio.
E ciò che da lei è conquistato, per nulla soffre del suo limpido abbraccio,
anzi, quasi si conserva nel cristallino nitore: guadagna in trasparenza e
leggerezza.
La calma acqua fatti di umili goccioline riposa in oceaniche grandezze.
Noi dobbiamo trasformare le nostre mani, avambracci e dita, in acqua.
Per far ciò, è necessario prima di ogni cosa immedesimarsi nella sua
caratteristica peculiare: la passiva e calma indifferenza.
Così le dita non servono più, perdono la funzionalità e il senso di
appartenenza: non sono più mie, ma della leggerezza che mi circonda. Questo è un
atteggiamento fisico e prima ancora mentale: lasciar fare, lasciar essere,
lasciar danzare, fare silenzio e ascoltare.
Se vuoi proprio ascoltare qualcosa, c'è il tuo respiro, che da anni ingloba in
te fluido elastico.
Ogni tensione muscolare, residuo di durezza solida, lascia spazio alla fluidità
liquida, che è essenzialità dei movimenti, lentezza e velocità e, come per
incanto, le dita trovano il loro posto ideale fra i tasti, la giusta distanza,
il giusto peso, come l'acqua preme allo stesso modo un fondale sconnesso.
I tasti si lasciano accarezzare e tutti sono ugualmente raggiunti; non c'è più
competizione fra tastiera e dita, non più conflitto, ma calda intesa cui seguirà
un'inesorabile azione.
Tale divina condizione è appesa a un filo di seta sottilissimo, basta la forza
del più piccolo dei pensieri per spezzarlo... ma è in questa direzione che
dobbiamo andare.
Un giorno avevo preso una piccola rana e mentre ne osservavo
incuriosito le stranissime fattezze, è saltata via dalla mia mano per cercare
rifugio in un anfratto pieno di oggetti; per ritrovarla ho seguito con lo
sguardo ogni punto, freneticamente, senza risultato. Prima di abbandonare
l'impresa, ho pensato di osservare il luogo con sguardo immobile, senza
concentrarmi su un unico punto, ma cercando di cogliere la totalità indistinta
dell'immagine che avevo davanti.
Ora, nella grande foto piena di oggetti inanimati, un particolare reclamava
attenzione, per il semplice fatto di essere l'unico in movimento: la rana.
Noi sottovalutiamo la potenza della passività; e ci ostiniamo
a opporre la nostra energia a quella dell'intero universo.
Invece, se impariamo a fare silenzio, saremo in grado di cogliere l'eterna danza
che ci circonda.